Scorpio Falling: riflessioni sul cinema che diventa televisione mentre la TV diventa cinema

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DOPO ADONAI, DOPO BOB, OGGI OSPITO IL CONTRIBUTO DI PANF, UN’INTERESSANTE RIFLESSIONE SUL CINEMA E NON SOLO… 

Il cinema occidentale ha imparato ad essere impeccabile nell’arte del raccontare. La sensazione è che spesso lo faccia troppo bene, troppo limpidamente, troppo comprensibilmente, ma senza invitare alla visione critica, al dubbio, all’incertezza, al proibito (aggettivo che perdendo significato vede diminuire anche il suo utilizzo), al piacere psicotropo imprigionato in modo subliminale nelle immagini in movimento.
Affermare che il cinema di Anger o di Tarkowski, ma anche di un Jarman o un Kubrick, di un Pasolini o un Ferreri, è andato perduto sarebbe un’inesattezza, data l’effettiva reperibilità delle loro pellicole. Ma sarebbe soltanto un’imprecisone semantica, perché è il loro “modo” di fare cinema che sembra smarrito, come quello di tanti sperimentatori tra gli anni 50 e gli anni 70, a giudicare dai risultati puramente “cinematografici” dei nostri cineasti contemporanei.
Certe modalità di raccontare, di inquadrare, di invitare ad interpretare, di costringere alla visione non ansiogena sono un patrimonio che è stato poco o nulla trasmesso all’estetica del cinema occidentale, appiattitosi inevitabilmente sul linguaggio televisivo.
L’eccesso, la cura maniacale, il colore, i giochi di sovrapposizione barocchi, punk o decadenti sembrano piuttosto aver nutrito l’immaginario del clip musicale, che li ha per certi versi estremizzati, o di alcuni programmi televisivi che coscientemente o meno utilizzano il ritmo e il montaggio esasperato, il kitsch, la stasi assoluta o la velocizzazione delle immagini.
Il cinema invece sembra aver perduto tutto questo, impoverendosi proprio mentre si arricchisce di opportunità tecniche e narrative. L’ansia della compressione, dell’asciugare, del ripulire, dell’aderire al contesto, dei raccordi corretti, dello spettatore detective, hanno cancellato dal nostro orizzonte d’attesa il puro piacere dell’Immagine, trasformando il linguaggio meramente visivo della pellicola in una sorta di sceneggiato o reality per il grande schermo.

Smentitemi al più presto, altrimenti sarò condannato in eterno alla visione settimanale di “Nostra Signora dei Turchi” di Carmelo Bene e “Scorpio rising” di Kenneth Anger.

Panf

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