Cina: ucciso a quindici anni perché “drogato” di Internet

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Dopo la rivolta di Piazza Tien An Men, soffocata nel sangue nel 1989, durante la quale persero la vita circa 3.000 persone e moltissime altre rimasero ferite, parlare di libertà in Cina mi sembra quantomeno risibile. Lo spietato regime dittatoriale fa della repressione la propria arma di difesa. Esistono oggi 1.400 Laogai, i terribili campi di sterminio destinati agli oppositori del regime dittatoriale e le condanne capitali  eseguite in Cina sono l’80 per cento del totale dell’intero pianeta. In questo clima di assoluta violazione degli elementari diritti umani, Internet diventa un nemico da combattere, poiché strumento di divulgazione di notizie e di dialogo, di confronto, di sfogo. Tutto deve essere messo a tacere e se un adolescente trascorre troppe ore davanti al computer sicuramente è un malato e va rieducato. E’ quanto è accaduto a Deng Senshan, inviato dai genitori in uno dei campi semilegali dove i ragazzi che passano troppo tempo sul web vengono sottoposti ad un severo regime, mirato a «guarirli». Deng e’ morto il 2 agosto a causa dei maltrattamenti e delle percosse subite. Il campo è stato chiuso e un’indagine è in corso. Quale indagine seria è possibile in un regime dittatoriale così spietato? Tredici sospetti sono stati arrestati. Chi pagherà per la morte di Deng? E chi stabilisce quante ore sia giusto trascorrere davanti al pc? Possibile che l’occidente cosiddetto civilizzato possa ancora tollerare che tali crimini siano in Cina all’ordine del giorno?

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