Il Festival di Bonolis tra costi esorbitanti e vecchie cariatidi

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Se persino un esperto di musica, giornalista e conduttore accreditato, come Dario Salvatori concorda con l’intelligente e ironica stroncatura dell’Osservatore Romano allo stucchevole e indigesto Festival di Bonolis, a firma di Marcello Filotei, allora forse una riflessione occorre farla sulla scadente qualità di un prodotto come la kermesse canora sanremese che torna ogni anno a tormentarci, puntuale come l’influenza.
Il Festival della Canzone Italiana sembra oramai una sorta di gigantesco mostro preistorico che ci si ostina a tenere in vita con un accanimento terapeutico che sfiora la crudeltà. Dato per assodato che la gara tra cantanti non interessa più a nessuno   si punta tutto sugli artifici di contorno: ospiti, vallette, guest stars, abiti firmati, trovate sceniche e chi più ne ha più ne metta. Tutto ciò con un dispendio economico che specie in tempi di crisi fa giustamente arricciare il naso alle associazioni dei consumatori che si domandano a quale scopo spendere tanti milioni per strapagare un conduttore melenso, capace solo di infarcire di osservazioni banali e senso comune a iosa un contenitore già di per sé poco intelligente. Di più, Paolo Bonolis elargisce a piene mani la sua saggezza da trivio e la sua cultura d’accatto con l’aria che doveva avere Mosè quando disceso dal monte Sinai dettò al popolo eletto le Tavole della Legge. Nessuna autoironia, nessuna umiltà e le canzoni scelte poi, che malinconia, sembra di essere tornati indietro di cinquant’anni a giudicare dall’età media dei cantanti in concorso: Iva Zanicchi, Albano Carrisi, Fausto Leali, Pupo, Patti Pravo, possibile che non ci fosse di meglio?
Purtroppo la dura legge televisiva premia i dati d’ascolto, a scapito della qualità dei programmi e tra una trovata e l’altra Bonolis il guitto è riuscito a fare numero anche quest’anno, tra “citazioni di letture da sussidiario” e osservazioni “disarmanti”, ha proprio ragione Filotei, e più che nazionalpopolare è sconfortantemente nazionalpopolano. Il Festival è salvo, qualcuno dice, benché la buona musica vi agonizzi, nell’Italia del cattivo gusto c’è persino chi ne gioisce, ma a Sanremo quest’anno insieme al buon gusto sembra appassito anche l’ultimo dei fiori.

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